foto di Emma Graziani
Questo testo è esito del Laboratorio di giornalismo culturale e storytelling organizzato da Altre Velocità per il festival Ammutinamenti 2025. Per la Vetrina della giovane danza d’autore, i partecipanti si cimentano nella descrizione degli spettacoli sotto forma di brevi cartoline quotidiane. Quello che segue è il racconto del secondo giorno (12 settembre 2025).
Lemmy B. di e con Nunzia Picciallo
In Lemmy B. Nunzia Picciallo si esibisce completamente nuda, testa rasata, unici orpelli i tatuaggi impressi sul corpo. La scenografia è altrettanto scarna: due altoparlanti rivolti verso di lei che sta in mezzo. Non guarda mai verso il pubblico, non ha alcuna espressione, non traspare nessuna emozione. Per quasi tutta la durata della performance, il suo corpo è scosso da un tremore costante in risposta alle “scariche di elettricità“ che provengono dalle casse. Infine, una lunghissima pausa di silenzio inganna. Il pubblico accenna un timido applauso prima di capire che no, non è finita: c’è ancora tempo perché il suo corpo ceda alla gravità e con movenze striscianti esplori tutta la superficie del proscenio. L’unica emozione che trapela è un senso di angoscia e sopraffazione.
Everybody Has a Fate (primo studio) di Riccardo De Simone

Nella solenne cornice grigio-bianca della Fondazione Sabe per l’arte due Sliding skate mat – tappetini per esercizi di scivolamento e agilità – sono posizionati al centro uno dietro l’altro, tra le colonne. L’autore Riccardo De Simone e Laura Chieffo, l’altra perfomer, entrano in scena vestiti di nero, con maglia a collo alto, fuseaux di eco-pelle aderenti e occhiali steam punk. Indossano anche i sovrascarpe che favoriscono lo slittamento, altrettanto neri, parte dello stesso kit dei tappetini. Pattinano sul posto per 15 minuti, sempre in controtempo: uno da una parte e uno dall’altra, senza sovrapporsi. L’unica significativa variazione è verso la fine, quando, liberatisi degli occhiali, continuano lo sportivo ondeggiamento con un’espressione di accentuato stupore sul volto: gli occhi strabuzzati, le labbra a cerchio.
The Garden di Gaetano Palermo
È morta? Chi l’ha uccisa? C’è una donna di rosso vestita stesa sul palco, i capelli biondi riversi sul pavimento, non sembra intenzionata a muoversi. Intanto la musica avanza, i minuti dello spettacolo scorrono inesorabili, «the show must go on» (anche se l’artista si è ridotto a una mera scenografia e la morte non scandalizza più nessuno, anzi…). È lasciato allo spettatore il compito di interpretare a ogni cambio traccia il nuovo contesto che ha ucciso la performer Sara Bertolucci, indovinare la «musica fatta per essere uccisi». Una performance suggestiva che tira dentro ma non evolve mai. D’altronde chi muore non può far altro che essere morto. Ma Bertolucci non è morta, finta è anche la parrucca bionda, tutto è un sensazionalismo per arrivare a quell’applauso registrato verso la fine, quando la performer si alza rompendo l’incanto e si leva la parrucca ancor prima di essere arrivata dietro le quinte.
Good Vibes Only (beta test) di e con Francesca Santamaria

In Good Vibes Only (beta test) Francesca Santamaria scandisce la sua danza social in tre momenti. Nel primo, sul linoleum nero del Teatro Rasi privo di qualsiasi orpello, si esibisce in ballettini che gli utenti di TikTok conoscono a memoria, diventati tormentoni da milioni di follower. Il secondo è il beta test: qui, una volta tracciato un quadrato con lo scotch azzurro al centro del palco, Santamaria si posiziona all’interno e attende, come in un gioco a jukebox, che una voce fuoricampo le dica quale degli stacchetti presentati riproporre. L’azione va avanti in una logica di accumulo e crescendo. Dato che, come esplicita giustamente il detto, un bel gioco deve durare poco, dopo venti minuti la performer si toglie la t-shirt bianca che indossa sopra i jeans, mostrando un QR code cucito sulla canottiera. Se qualcuno del pubblico vorrà scansionarlo, mentre lei si aggira in platea, potrà lasciarle una mancia o aiutare le spedizioni umanitarie in Palestina.
Do fairies have a tail? di Violetta Cottini

Colori profondi, scuri e intensi tra il verde e il nero, fumo che si espande lentamente sul palco, un braciere di fuoco che sembra alimentato dal solfato di rame e che richiama i riti viscerali della natura misterica e profonda delle due creature (le gemelle Indolfi) che abitano il palco, antropomorfe, dotate di un esoscheletro che ricorda i primi film di fantascienza e con loro cervi e volpi rubate alla notte che scorrono in video. Sono le scenografie e i costumi di Diana Magi i veri protagonisti di questa performance, che ci invita a esplorare anche il lato più oscuro del soprannaturale che abita le nostre leggende, in quella che sembra uno scorcio nel folclore nordico.
foto di Emma Graziani; testi a cura di Matteo Merogno, Ausilia Palmiteri, Matteo Rossini