MK, “Bermudas_forever” (foto di Emma Graziani)
Questo testo è esito del Laboratorio di giornalismo culturale e storytelling organizzato da Altre Velocità per il festival Ammutinamenti 2025.
Se apri le braccia a livello delle spalle e poi cominci a roteare nello spazio, come ti senti? Come una girandola? Un vortice? Un mulinello? A questa domanda potrebbero rispondere non solo i 6 brillanti danzatori della compagnia MK in scena con Bermudas_forever il 7 settembre alle Artificerie Almagià, ma anche i non professionisti, gli amatori della danza, gli aspiranti ballerini e chiunque tra il pubblico desideri buttarsi nella mischia. A differenza dello spettacolo originale Bermudas (2018), di 45 minuti e per un gruppo tra i 3 e i 13 danzatori, nella versione _forever tutti possono partecipare, sia ricevendo le istruzioni coreografiche durante un workshop di preparazione con la compagnia, sia la sera stessa con pochi minuti di addestramento dietro al palco.
Aprire le braccia modificando la viabilità, come fanno i passaggi a livello, oppure roteare sostenendo gli arti come le pale di un motore sono due delle possibilità con le quali si può attraversare lo spazio iridescente della perfomance. Il palcoscenico, abitabile per due ore con tempi e pause diverse per ognuno, è un quadrato di luci multicolor, cangianti e a intermittenza, e di musiche elettroniche ripetitive e incalzanti che si trasfigurano in canzoni e sonorità tropicali, ma riarrangiati con la medesima pulsazione; quella che ti entra nei piedi, ti fa tamburellare e ti impedisce di star fermo. Si costituisce, in tal modo, un panorama acustico che sembra dare suono all’oscillazione delle onde elettromagnetiche. E il via vai di movimento è una propagazione di questo flusso: i partecipanti cavalcano una continua onda che non s’infrange, entrando e uscendo dalla scena dal lato sinistro, a gocce o a scrosci; pattinando in avanti con i piedi mentre schiaffeggiano l’aria con il dorso delle mani oppure alzando un braccio sopra la testa, ma riafferrandolo subito con l’altra mano e approfittando dello slancio generato per abbandonarsi a un giro o a una serie di giri. Sono questi altri gesti possibili con i quali orientarsi nel mondo che gli MK mettono a disposizione per la serata e diventano la parola d’ordine che ne permette l’accesso.

Le combinazioni sono infinite. Ecco in scena 10 trottole all’unisono, poi alcune escono slittando e ne rimangono tre, che diventano l’incarnazione di un atomo: nucleo, protoni e elettroni che si inseguono, attraendosi e respingendosi, scambiandosi la carica – magari per imitazione – oppure orbitando nella loro zona prossimale, in una continua sorpresa di chi guarda (cosa succederà ora?). Poi, a turno, quando la risacca lascia il giusto spazio, i danzatori professionisti scivolano disinvoltamente fuori dal gruppo, cimentandosi in piccoli assoli, a volte più densi con gambe che si slanciano verso l’altro, altre inscenando un moto perpetuo, dimostrando anche ai più inesperti cosa accade se continui a girare, girare, girare… E infatti, aprono la pista anche a qualcuno dei neofiti che, saggiando per un attimo cosa significhi essere soli in scena, manifesta un sentimento di fanciullesca euforia e calibrato spaesamento, quello dell’Alice di Carroll, che si ritrovava prima lillipuziana in un mondo sovradimensionato, poi gigantessa in un mondo minuscolo.

Quello di Bermudas_forever è un vagabondaggio organizzato, nelle intenzioni del coreografo Michele di Stefano, Leone d’argento per l’innovazione nella danza alla Biennale di Venezia 2014. Il suo lavoro associa la figura dell’artista a quella del turista, poiché entrambi si aprono alla ricerca dell’ignoto, ma lo fanno con la bussola e i punti cardinali ben presenti, scoprendo la più grande libertà nell’orientamento con la mappa (qualunque essa sia) e non nell’abbandono all’anarchia del senso.
Il sistema coreografico di questo viaggio nell’Atlantico è un gioco molto serio. La sua serietà è data dall’intenzione, poiché ognuno può abitare per un attimo, più o meno lungo, il luogo-sistema condiviso, orientandosi con i frammenti gestuali messi a disposizione e con tutte le possibili versioni, amplificazioni, variazioni e soluzioni, ma deve stare a quel gioco. Entra in campo per generare interazioni attraverso quelle soluzioni corporee, non per un mero sfoggio di sé. E più il gioco è serio, più stupisce: la danza avviene «fuori dal corpo», ha detto Di Stefano in più occasioni, tra i gesti, tra gli individui, in quei momenti di passaggio che il contemporaneo ci insegna a smettere di considerare secondari e ininfluenti.
Bermudas_forever, premio Ubu come migliore spettacolo di danza nel 2019, è una delle numerose coreografie (Robison, Impression d’Afrique, Parete Nord, Piscina Mirabilis alcuni dei titoli) attraverso cui MK dal 2000 sviluppa la propria visione dell’arte e del mondo. È una delle molteplici declinazioni geografiche con la quale la compagnia ci ricorda che la coreografia è una visione concettuale del mondo, a volte invisibile, a volte implicita o scontata, non importa, ma imprescindibile; ed è ciò che ha il potere di trasformare una semplice danza in opera.
Matteo Merogno